[Quest’articolo è stato scritto da Viola Bellisai, una ragazza italiana che da due anni vive e lavora a Barcellona in ambito marketing. Da sempre coltiva la passione per la scrittura, uno strumento imprescindibile per fissare pensieri ed emozioni dei suoi numerosi viaggi]
Doce de la mañana, Havana, Cuba.
Ci sono dei luoghi che vedi per la prima volta e hai come la sensazione che la tua vita, prima o poi, fosse destinata a passare di lì.
Avvolta da un’aria calda ma piacevole, erano bastati due minuti in quella terra lontana per cancellare le diciotto ore di viaggio e quella fila infinita che mi separava dalle porte di una nuova avventura. La prima impressione, salendo a bordo del taxi, era quella di essere tornata indietro non solo di sei ore, ma di quindici anni. Sbirciavo piena di curiosità piccoli stralci di un città che pareva intrappolata nel tempo e quei contorni inizialmente sfumati, si facevano sempre più nitidi man mano che entravo nel cuore del vibrante mondo di Havana.
Un’auto tipica di Cuba. (Credits: Viola Bellisai)
Se mi chiedessero se c’è qualcosa di più bello degli scenari di questa perla di isola, non esiterei a rispondere che sì, Cuba è molto di più delle sue spiagge, delle macchine d’epoca e delle città coloniali. Certamente tutto questo contribuisce al suo fascino, ma è la sua gente a conferirle quel colore speciale che la rende diversa da ogni altro pezzo di mondo. L’ho capito appena scesa da quel taxi giallo, conoscendo la prima famiglia che ci avrebbe accolto con un abbraccio caloroso, lo stesso che daresti a un amico che incontri dopo tanto tempo. A Cuba sono tutti amigos e lo eravamo diventati pure noi, cinque minuti dopo il nostro arrivo. Il tempo di un caffè che sembrava italiano e già mi faceva sentire a casa. Eppure non lo ero, mi trovavo nel lato opposto del mondo, in uno stato tanto vicino all’Occidente, quanto incredibilmente lontano da esso.
Havana. (Credits: Viola Bellisai)Havana
Prima di partire mi chiedevo se si vive bene a Cuba, o se si tratta di un mondo schiacciato e oppresso da un governo troppo ficcanaso. A dire la verità non sono bastati dieci giorni intensi vissuti a stretto con la sua gente, né le chiacchiere con il medico, l’agricoltore, il musicista per darmi una risposta chiara. Ma che ne possiamo sapere noi turisti della vera Cuba – direbbe qualcuno. In realtà basta poco per affacciarsi fuori dalle parentesi turistiche e scoprire una Havana diversa da quella delle cartoline. Fuori dal quartiere vecchio e dalla più moderna Vedado c’è un cuore povero, spesso senza elettricità, in cui ci sono poche macchine e tante biciclette arrugginite, cavalli, vecchi scooter che sembrano cadere a pezzi. L’elettricità è un lusso da quelle parti, l’acqua è disponibile solo a una certa ora del giorno, ma la musica è sempre accesa. Le persone si reinventano ogni giorno, vendendo qualsiasi oggetto di cui dispongono, che sia una penna, un paio di uova o una confezione di fazzoletti. I bambini ci rincorrono chiedendo di essere fotografati da noi “turisti”, sperando di ottenere in cambio una manciata di centesimi; chiunque a bordo di un qualsiasi mezzo, si improvvisa tassista e ti offre di accompagnarti ovunque tu voglia. Eppure, nonostante la povertà dilagante, ho visto più sorrisi in quest’Havana decadente, di quanti ne veda abitualmente in alcuni quartieri della mia città. Così capisco perché, in un modo o nell’altro, “i cubani ce la si fa”, perché non si sta mai con le mani in mano, perché tu aiuti me, io te, perché ci si reinventa ogni giorno, perché si hanno tutta una serie di valori che qui da noi sono un po’ impolverati.
Havana. (Credits: Viola Bellisai)
Varadero
È tempo di lasciare Havana. Salutare Rodolfo, il nostro host, e la sua famiglia, ci metteva un velo di malinconia. È sempre così quando saluti qualcuno che sai di non rivedere mai più perché “per i cubani è difficile andare via” e sapevo che il mio invito a Barcellona a cui rispondeva un sorriso disilluso, in realtà non sarebbe mai stato accolto. Così la malinconia lasciava spazio alla curiosità di scoprire la nostra prossima tappa, Varadero. Avevo sentito tanto parlare di questa lingua di terra immersa nel mare. Varadero puoi pure saltarla – mi dicevano. Non c’è nulla, eccetto qualche gruppo di turisti americani di mezza età, facilmente riconoscibili dalle guance paonazze, scottate dal sole forte o dai fiumi di alcol appena ingeriti. Eppure io vi consiglio di passarci dalle parti di Varadero, perché a spezzare il rosso di chi avrebbe dovuto evitare il sole nelle ore più calde, c’è una distesa azzurra lunga 20 km, uno spettacolo quasi artificiale che mi toglieva il fiato, lo toglieva perfino a me, che nelle spiagge meravigliose ci sono nata. Ricorderò Varadero per il suo mare paradisiaco, per le serate al ritmo di musica rock anni Settanta e per il nostro amico Tony, l’host con la H maiuscola, una di quelle persone che ascolteresti per ore mentre parla del suo lavoro con l’entusiasmo di un bambino e racconta di quella Cuba che mai e poi mai avrebbe potuto lasciare.
Varadero. (Credits: Viola Bellisai)
Trinidad
È passato solo un giorno ma è già tempo di rimettere lo zaino in spalla e dirigerci un po’ più a Sud, nella coloratissima Trinidad. Dopo un viaggio di oltre quattro ore a bordo di un taxi sgangherato arriviamo a destinazione e non c’è affatto tempo di essere stanchi. A Trinidad il sole splende e il fascino decadente di Havana sembrava ormai un lontano ricordo che lasciava spazio ai colori e alla naturale vivacità di una cittadina coloniale a cui il turismo aveva dato modo di risorgere.
Trinidad. (Credits: Viola Bellisai)
Non c’è un angolo spento, un vicolo nascosto in cui non si percepisca l’eco dei musicos che intonano i loro cavalli di battaglia. Ai turisti si mescolano i locali e li riconosci perché sono quelli senza il cellulare in mano, vestiti con colori accesi e spesso si avvicinano a chiederti se tu, che vieni da lontano, hai portato qualcosa per loro. Un vestito, un cappello, una confezione di latte, qualsiasi cosa. I bambini giocano a pallone nelle piazze fino a tardi, le bimbe saltano la corda e mi ricordano quanto non fossi più abituata a vedere qualcuno che si diverte in modo così semplice, proprio come una volta. Ospite in una società piena di difetti che osservavo con gli occhi di semplice spettatrice, non potevo fare a meno di provare un po’ di sana invidia per quella semplicità che a noi italiani, spagnoli, europei ad un tratto non è bastata più.
Trinidad. (Credits: Viola Bellisai)Trinidad. (Credits: Viola Bellisai)
Uscendo fuori dai contorni della Trinidad rumorosa e colma di turisti, lo spettacolo continua tra spiagge e oasi naturali, come quella di Guanayara, un meraviglioso parco impreziosito da cascate e piscine naturali. Il tempo passava ed era quasi ora di bruciare l’ultima tappa, ma salutare quei luoghi stupendi, lasciava sempre il groppo in gola. Ci aspettava un altro viaggio, l’ennesimo. Sì, perché di Cuba non ricorderò solo le sue meraviglie, ma anche il lungo viaggio per arrivarci. Ottantasei ore di viaggio in dieci giorni, molte di queste senza aria condizionata tra macchine sgangherate e furgoncini anni ottanta. Tra scenari meravigliosi, tassisti spesso logorroici, incontri bizzarri e tante storie da raccontare. I vari compagni di viaggio incrociati per caso lungo la via ci chiedevano spesso quale fosse il pezzo di isola che più di tutti ci aveva conquistato. Ci pensavo e ripensavo, ma avevo mille risposte diverse. Tutti quei luoghi erano e sono per me parte di un unico puzzle. Basta che un solo pezzo venga meno per lenirne l’inestimabile bellezza. Spesso però i nostri compagni di viaggio una risposta l’avevano: si chiamava Viñales, ed era la nostra ultima tappa, lasciata alla fine, come la parte più buona del piatto che mangi sempre per ultima.Viñales. (Credits: Viola Bellisai)Viñales
Viñales è la sua valle immensa, una distesa verde infinita in cui affiorano fitte le piantagioni di tabacco. Viñales è il contrasto tra un nucleo turistico fatto di ristoranti e case dormitorio e la campagna pochi metri più in là, dove il tempo sembra essersi fermato, un piccolo paradiso bucolico che ci avrebbe ospitato durante gli ultimi giorni della nostra permanenza a Cuba. A Viñales il gallo canta ogni mattina alle sei, quando è in ritardo. Poi gli altri galli lo accompagnano, a seguire. Svegliarsi alle prime ore dell’alba ogni mattina per il canto di un gallo suona tanto bene raccontato quanto male per chi ha accumulato pochissime ore di sonno i giorni precedenti e vorrebbe concedersi il lusso di riposare un po’ di più. Eppure, proprio nel momento in cui iniziavo a rimpiangere la scelta di soggiornare fuori dalla città, aprivo la porta della stanza e lo spettacolo che avevo di fronte mi toglieva il fiato. A Viñales quasi tutte le case hanno una terrazza sul tetto ed è lì che Deny, il nostro host, ci faceva trovare la colazione ogni mattina. Così iniziavano le nostre giornate: succo di guanayaba, marmellata di mango, tortilla francese e quella vista mozzafiato sulla valle incantata di Viñales. Continuavano con escursioni a cavallo, chiacchiere notturne e sigari accesi.
Viñales. (Credits: Viola Bellisai)
Viñales. (Credits: Viola Bellisai)
Viñales. (Credits: Viola Bellisai)
Viñales. (Credits: Viola Bellisai)
Viñales. (Credits: Viola Bellisai)
In questo spaccato dell’isola ho certamente alcuni dei ricordi più belli della mia permanenza a Cuba. Uno di loro titola Cayo Levisa, una piccola isola deserta in cui raccomanderei a chiunque passi di lì di fare un salto. A chi ha la fortuna di visitarla, consiglio di avventurarsi tra arbusti e sterpaglie fino a raggiungere la punta dell’isola, dove il telefono non prende, i turisti non arrivano e sembra di essere nel bel mezzo del nulla, un nulla dai colori straordinari, chiamato Punta Arena. A farci compagnia in questo scenario esotico e deserto, solo un uomo, che armato di borsa frigo e bicchieri, era pronto per servire il mejor mojito de Cuba a chiunque passava da quelle parti. Provare per credere – diceva. E dal basso della nostra esperienza in fatto di mojitos, ci sentivamo di dargli tutta la ragione. Tra un mojito, qualche chicchiera sul calcio spagnolo e italiano e le ormai familiari note di salsa in sottofondo, si concludeva la nostra giornata a Cayo Levisa e di lì a poco, anche il nostro viaggio nell’isla bonita.
Viñales. (Credits: Viola Bellisai)
La sveglia suona presto il lunedì mattina e svegliarsi è ancora più dura se ti aspettano venticinque ore di viaggio. È tempo di salutare Deny e la valle incantata di Viñales, che aveva fatto da cornice all’ultimo capitolo del viaggio, ad oggi, il più emozionante della mia vita.
Da sognoooo!
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